Il tumore al fegato si può curare se diagnosticato in tempo
E' stato sottolineato nel Convegno organizzato da Paolo Tundo e Roberto Chiavaroli
Il
25 settembre 2010
si è tenuto a Lecce un congresso medico in “Terapie
non chirurgiche del tumore primitivo del fegato”,
organizzato dal dottor Paolo
Tundo e dal dottor
Roberto Chiavaroli,
del reparto di Malattie Infettive dell’ospedale “Santa Caterina
Novella” di Galatina.
L’evento scientifico ha visto la partecipazione
in qualità di relatori dei maggiori esperti nazionali in materia e,
se si considera che il nostro paese ha raggiunto in questo campo i
massimi livelli mondiali, si può intuire quale sia stata la levatura
del congresso; un nome fra tutti quello di Tito Livraghi, radiologo
interventista che per primo in Italia, circa 25 anni fa’, ha messo
a punto tecniche non chirurgiche per l’ablazione del tumore del
fegato e che può contare un’esperienza personale di almeno 5000
epatocarcinomi.
Con
l’aiuto di questi specialisti si è voluto allora richiamare
l’attenzione sull’epatocarcinoma
(il cancro del fegato), un problema che viene ancora sottostimato,
soprattutto nelle nostre regioni, ma che è invece in costante
pericoloso incremento. Questa neoplasia ha due peculiarità: la prima
è che nella stragrande
maggioranza dei casi insorge in corso di cirrosi epatica
e diventa quindi fondamentale individuare i soggetti affetti da
epatocirrosi, da sottoporre ad uno monitoraggio ecografico periodico,
a cadenza semestrale, in modo da rilevare precocemente eventuali
noduli displastici. In altre parole, una diagnosi precoce è
possibile ed anzi altamente auspicabile, perché – ecco la seconda
peculiarità – questo
tumore può essere facilmente curabile, in maniera addirittura
definitiva, se precocemente diagnosticato.
La
parola “tumore” fa correre immediatamente il paziente (e talora
anche il medico di base) dall’oncologo, ma in questo settore non
esiste ancora una chemioterapia sistemica efficace. Il ruolo
terapeutico è demandato invece, nella stragrande maggioranza dei
casi, ad una serie di interventi non chirurgici, pratiche mini
invasive che è possibile eseguire anche in regime di Day Hospital,
con ottimi risultati e notevole riduzione dei rischi per il paziente;
non dimentichiamo infatti che spesso si tratta di soggetti anziani,
con una più o meno grave insufficienza epatica di base, per cui è
difficile il ricorso alla resezione chirurgica o ancor meno al
trapianto dell’organo.
Parliamo
allora di alcoolizzazione,
termoablazione con
radiofrequenza o microonde, laserterapia e
chemioembolizzazione,
tecniche che – con approccio diverso (alcool, calore, laser o
quant’altro) – hanno tutte lo stesso obiettivo di eradicare il
tumore, attraverso una piccola puntura percutanea (al pari di una
biopsia) così da raggiungere il nodulo epatico e “bruciarlo”.
Non deve allora sorprendere se i professionisti che si sono
perfezionati in queste procedure appartengono a specialità
differenti (infettivologia, gastroenterologia, radiologia, chirurgia,
oncologia, ecc) ed, anzi, proprio per questo motivo, se si vuole
davvero perseguire il miglior risultato gestionale, è necessario
immaginare un approccio
multidisciplinare al
problema, una vera e propria task-force dedicata.
In
piccolo è quello che è stato già creato da tempo a Galatina,
presso la Divisione di Malattie Infettive, da sempre impegnata nella
diagnosi e nella cura delle malattie croniche del fegato ad eziologia
infettiva: la gestione di questi soggetti nel corso degli anni, dalla
forma acuta iniziale sino alle fasi terminali di malattia, ha
generato una non comune esperienza anche nel settore dell’oncologia
epatica ed ecco allora perché in questo reparto è attivo
un Servizio di Alta Professionalità in Ecografia Interventistica e,
nello specifico, è operativo
un ambulatorio multidisciplinare per la gestione dell’epatocarcinoma
con lo scopo di disegnare per ogni singolo paziente il migliore
percorso terapeutico.
Il
congresso è servito allora anche per confrontarsi con altre realtà
nazionali, per stringere preziose collaborazioni, per provare a
perfezionare l’attuale modello organizzativo, con l’ambizioso
obiettivo di implementarlo per l’intero Salento, così da evitare
inutili “viaggi della speranza”.
A
latere della manifestazione è stata presentata infine la neonata
“Prometheus”,
un’’associazione salentina di persone affette da tumore del
fegato, che mira a diffondere la conoscenza del problema nella
popolazione generale, a fornire supporto a malati e familiari e, non
ultimo, a stimolare le autorità sanitarie a perfezionare
l’assistenza sul territorio per questi pazienti
(www.tumorealfegato.it).