Corte Costituzionale: l’IVA sui rifiuti è illegittima, Tarsu e Tia sono tasse non tariffe.
La CSA deve restituirla ad aziende e privati.

Una recente sentenza della Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi in materia di tasse per lo smaltimento dei rifiuti, ha affermato che sulla TARSU (tassa sui rifiuti solidi urbani) e sulla TIA (tassa sull’igene ambientale) non è possibile che venga applicata L’IVA in quanto trattasi in entrambi i casi di tassa e non di tariffa e pertanto non può esserci ulteriore aggravio di alcun genere compreso il 10% dell’ Iva e pertanto qualora fosse stata applicata deve essere restituita alle aziende e privati che ne facciano richiesta entro il 24 luglio 2011 (ma si consiglia, per ovvi motivi, di farlo il prima possibile).

La sentenza in questione è la n. 238 del 24 luglio 2009 .

Nelle sue linee generali la sentenza, pronunciata dalla Corte Costituzionale a sezioni riunite e scaturita per dei  temi, sollevati dal Giudice di Pace di Catania e dalla Commissione tributaria di Prato riguardanti l'asserita incostituzionalità delle norme che attribuiscono alla competenza delle commissioni tributarie le controversie relative in materia di tariffa d'igiene ambientale.

Se la TARSU è una tassa e come tale le controversie giudiziarie che la riguardano devono essere affrontate dinanzi alla Commissione tributaria competente, sostenevano i due Comuni, per quanto concerne la TIA invece non si tratterebbe di un tributo, bensì un corrispettivo a carattere privatistico per le prestazioni (rimozione rifiuti) effettuate.

La Corte Costituzionale si è invece pronunciata in merito alla diatriba di costituzionalità compilando un lungo excursus dalla nascita e successive trasformazioni delle due imposte e sui motivi che hanno ad oggi portato a pagare in alcuni Comuni la TARSU e in altri la TIA.

Se per la TARSU non erano mai sorti dubbi inerenti la qualificazione giuridica il discorso è diverso per la tariffa d'igiene ambientale che, proprio per essere stata nominata tariffa, ha portato diversi addetti ai lavori, ivi compresi i giudici di Catania e Prato, a ritenere che si trattasse di un corrispettivo di diritto privato, al pari di un qualunque compenso per la prestazione di un servizio.

La parte più interessante della sentenza della Corte riguarda, oltre alla sostanziale identità tra le due imposte, l'illegittimità dei comuni o di chiunque altro al loro posto di riscuoterne l'IVA.

In seguito alla pronuncia della Corte Costituzionale questo prelievo aggiuntivo è, quindi, da considerarsi illegittimo, motivo per il quale chi ha intenzione di chiederne il rimborso, potrà farlo con riferimento limitato ai tributi degli ultimi 10 anni.

Allo stato attuale, però, chiunque abbia pagato e voglia ottenere il rimborso delle eccedenze, dovrà indirizzare al Comune interessato o alla Società di riscossione una lettera raccomandata di formale messa in mora (di cui vi allego un fac-simile) per la restituzione di quanto dovuto.

Nel fare ciò bisogna allegare alla richiesta la fotocopia delle fatture della CSA elencando gli importi nelle tabellina riepilogativa e se non avete nulla che provi il versamento dell’IVA (avendo verificato personalmente che la CSA ha applicato il 10% di Iva sulle sue fatturazioni) basta allegare le fotocopie dei bollettini di versamento del tributo  spedendo il tutto tramite raccomandata con R.R.

Qualora l’Ente dovesse per assurdo nicchiare e far finta di non riconoscere o conoscere la sentenza della Corte Costituzionale e negasse il rimborso o non rispondesse alla richiesta si deve presentare ricorso alla commissione tributaria provinciale.

Il ricorso può essere fatto dal singolo contribuente se l’importo del rimborso non supera i 2.582,28 euro. Al di sopra di detto importo è necessario farsi assistere da un avvocato.

Per fare ricorso alla commissione ci sono 60 giorni di tempo dal momento in cui si riceve la risposta negativa dell’Ente o dal termine dei 90 giorni dalla presentazione della richiesta di rimborso poiché in questo caso, non essendoci stata risposta alcuna, vige il silenzio diniego.

E comunque possibile, per i privati, rivolgersi alle associazioni di consumatori che si stanno organizzando per azioni cumulative per ottenere la restituzione di quanto dovuto.              

Ad oggi, basando la stima sulle medie tariffarie registrate nell'ultimo rapporto governativo sui rifiuti è possibile dedurre che indiativamente per le famiglie il rimborso è medio è di circa 360 euro, mentre per le imprese ammonta a circa 3.750 euro.

                                                                                                                                                                             

                                                                                                                                                                                       Pietro Zurico

 Da qui scarichi il modulo per la richiesta di rimborso