----- Original Message -----
From: Pasquino Galatino
To: dino valente
Sent: Sunday, October 04, 2009 4:15 PM

Gentile Professore,

da alcuni giorni una coppia di mezza età raggiunge mestamente il cimitero al mattino e ne esce quando la sirena delle 12 preannuncia la chiusura. Due genitori completamente estraniati dal mondo e chiusi nel dolore passano la giornata accarezzando la lapide di un ragazzino di 17 anni.

L’altro giorno un’altra coppia di coetanei e genitori era lì insieme a loro: i due padri piangevano a dirotto l’uno sulle spalle dell’altro, senza parlare.

Uno dei due uomini era la “penna” che dà voce a Pasquino Galatino.

 

Forse si deve, per primo chi scrive queste considerazioni, tornare a riflettere sulla miseria delle cose umane. Che siano il vero o presunto desiderio di “visibilità” attribuito da una gentile Signora a questa statua, oppure i siti e blog e giornali sui quali tentiamo di creare una polifonia di voci che reputo benefica per la democrazia di questa Città.

 

Professore carissimo, sono certo che la simpatia (in senso etimologico) che avverte per me e che ricambio, è parte di quella umanità che non vogliamo sacrificare alle cose spesso meschine di cui abbiamo scelto di occuparci. Non so ancora per quanto, per parte mia.

 

Cordialmente,

 

Pasquino Galatino


Gentile Pasquino,

questa Sua è arrivata qualche giorno dopo quello in cui mio figlio ha scritto il suo Dubbio. La domanda con la quale si chiude il  breve intervento di Luca (Dio dov'è?) deve essere lo stesso martellante interrogativo che agita la mente ed il cuore di quella mamma e di quel papà che, tutti i giorni, accarezzano quella lapide. Non sono soli però nel loro pianto. Hanno accanto l'intera città. I ragazzi continuano ad interrogarsi ed a ricordare un amico. Lo sento ogni giorno nominare a scuola. Lo capisco dal fatto che il filmato dei suoi funerali su YouTube  è stato ormai visto da oltre 2600 persone. (un motivo in più per piangere non per sentirsi consolati).

E' vero quello che Ella scrive. Troppo spesso l'effimero prende il sopravvento e ci fa dimenticare i problemi veri della vita ma poi quel Dio che, secondo Marisa Fortuzzi, non sta lì a guardare ci riporta con i piedi per terra, in attesa (o forse nella speranza?) di tenerci sempre accanto a sè.(d.v.)